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Cosa significa ‘appartenere’? Sul conceto di ‘doppia assenza’ di Abdelmalek Sayad

Il fenomeno dell’immigrazione occupa oggi il suo posto in ogni giornale italiano ed è un tema ricorrente in tutti i mezzi e nei discorsi politici. L’Italia è un paese con una lunga sotoria di migrazione. Principalmente di emigrazione. Dopo l’unità d’Italia è cominciata l’emigrazione all’estero[1]. C’è stata prima una emigrazione interna: dal sud al nord. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, milioni di italiani sono partiti per le Americhe e per l’Australia. Anche nel secondo dopo guerra c’è stata una grande ondata migratoria di italiani.

Oggi però si parla più dell’immigrazione. Nonostante la peninsola sia sempre stata meta di immigrazione, quella contemporanea ha dimensioni più grandi: gli stranieri residenti in Italia sono oggi tra quattro e cinque millioni. Alcuni migrano per trovare condizioni di lavoro migliori, altri fuggono dal loro paese per guerre o persecuzioni.

La migrazione è insomma un tema complesso che porta con sè molte sfide, sia quelle relative alla burocrazia e alla legge che quelle sulla questione dell’identità, dell’appartenenza.

La legge sulla cittadinanza italiana si fonda principalmente sullo ius sanguisnis[2] (diritto di sangue) che fa derivare la cittadinanza dei genitori ai descendenti.  In questo modo è considerato italiano chiunque abbia almeno un genitore italiano sia che nasca in Italia o all’estero. I cittadini stranieri possono diventare italiani per matrimonio o per naturalizzazione. Quest’ultima è però molto burocratica, giacchè dalla legge numero 91 del 1992 sono stati introdotti tempi più lunghi per ottenere la cittadinanza attraverso la naturalizzazione. Mentre, la ottenzione della cittadinanza per la discendenza degli emigrati italiani all’estero è stata rafforzata.

Per tanto, la legge in vigore ha favorito la trasmissione della cittadinanza “con il sangue”  ai figli di italiani che sono nati, cresciuti e vivono all’estero, eppure non si  è riuscito ad approvare un ius soli (diritto di cittadinanza legato al luogo di nascita) per gli stranieri che risiedono sul territorio italiano da molti anni e per i loro figli nati e cresciuti in Italia.  

Alla pari con queste sfide legali ci sono anche quelle che, come abbiamo già segnalato all’inizio, hanno a che vedere con la questione dell’identità nazionale e il ruolo dell’immigrante nella società di accoglienza.

Abdelmalek Sayad (1933-1998) fu un sociologo algerino, allievo di Pierre Bourdieu, che studiò il fenomeno delle miagrazioni, particolarmente quella degli algerini in Francia. Sayad sosteneva che le categorie attraverso le quali si pensa l’immigrazione sono infatti categorie nazionali. Queste categorie hanno l’obiettivo di marcare i confini che separano i “nazionali” dai “non-nazionali”. L’immigrante è sempre nominato in maniera unilaterale dal punto di vista nazionale dato che, secondo Sayad, lo stato nazionale deve “delimitarsi per definirsi”. Dunque, l’immigrante si constituisce come “l’altro” rispetto al gruppo nazionale, che viene privato di tutto ciò che corrisponde a coloro che  appartengono al gruppo.  Per tanto, se appartenere al gruppo nazionale significa “essere”, l’immigrante allora “non-è”: l’identità dell’immigrante sarebbe configurata più come una “non-identità”.

Sebbene gli studi sulla migrazione si concentrino principalmente sulla figura dell’immigrato, dal punto di vista della nazione ospitante, il fenomeno migratorio ha anche la complessità dell’emigrazione, della nazione e della cultura che vengono lasciate alle spalle. In questo quadro, e per ottenere una migliore caratterizzazione del problema, Sayad ha introdotto il concetto di doppia assenza: il migrante è al contempo assente sia dalla società d’origine che da quella presso cui risiede. La società d’origine spesso può accusare l’emigrato di “traditorie” per avere lasciato la patria, e allo stesso tempo viene chiamato “straniero”, “l’altro” rispetto alla società di accoglienza. Sayad segnala che l’immigrato diventa così un atopos, una “persona fuori luogo”, destinato a vivere nel limbo della “non-appartenenza”.

Questo concetto di doppia assenza di Sayad, che recupera la complessità della caratterizzazione dell’immigrato, è ripreso da  Mimmo Perrota nel suo testo Chi è il migrante?

Perrota fa riferimento al lessico per parlare dei migranti. Essi sono spesso discorsivizzati come “problema” attraverso la parola “clandestino”: gli irregolari che mettono a rischio la sicurezza. D’altra parte, i migranti sono nominati come “risorsa economica” perché accettano i lavori che gli italini non vogliono fare e restano spesso nella fasce più basse del mercato del lavoro.

Gli immigranti sono anche incorniciati negli stereotipi in relazione alla loro cultura di provenienza. Il problema proprio degli stereotipi non è che non sono  reali ma  mostrano solo una parte della realtà: sono incompleti e fissi, non si modificano con l’esperienza interculturale. Da questo deriva che non si prendano in considerazione le diferenze tra persone della stesso origine, e che l’individuo divenga solo una parte del gruppo, un esempio di tale o quale etnia e non quello che è: un individuo che ha lasciato la sua cultura e il suo paese per cercare autonomia.

In linea con il concetto di doppia assenza, Perrota afferma che i migranti sono oggi dei transmigranti: restano legati alla cultura d’origine e al contempo participano della nuova cultura. Loro si muovono tra i due mondi, sia perché hanno successo in entreambi, sia perché non riescono a “trovare la propria strada in nessuno dei due”. Insomma, i migranti sono choloro che ci mettono davanti al “fatto che la nostra cultura non è qualcosa di assoluto, ma è solo una tra le tante”.

 
 

 

 

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[1] Dati consultati in Perrota, Mimmo.“Chi è il migrante?” Hameling nº35: https://hamelin.net/blog/hamelin-35-il-migrante/

[2] “Ius soli, ius sanguinis, ius culturae: tutto sulla reforma della cittadinanza” di Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale. 20 ottobre 2017

 
 
 

 

 

Mi nombre es Anabella, soy de Argentinasoy profesora de español y examinadora del DELE.

Tengo un grado en lingüística y literatura de la lengua española (Letras). Actualmente, además de dar clases de español, continúo mi carrera como lingüista haciendo investigación en gramática del español y variación lingüística en la Universidade Estadual de Campinas (Brasil).

 

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